
Cenni Storici
Marcellinara si estende su una superficie di 20 km², sorge alle pendici del Monte di Tiriolo e scende a balzi verso la depressione più profonda del rilievo calabrese detta Gola di Marcellinara o anche Garrupa, ad un’altitudine di 221 m s.l.m. A sud del paese si trova la Sella di Marcellinara, il punto più stretto d’Italia: in corrispondenza dell’Istmo di Marcellinara, il mar Ionio e il mar Tirreno distano appena 30 km.Grazie a questa sua posizione, dal paese e dalle colline circostanti, è possibile godere di uno straordinario panorama. Nelle giornate limpide è possibile scorgere all’orizzonte la sagoma della più alta delle isole Eolie: il vulcano Stromboli, circondato dalle isole più piccole.
Il paese, famoso per la produzione di olio, di fichi e per le sue cave di gesso purissimo, usato anticamente, grazie alla sua straordinaria trasparenza, come vetro per le finestre. E poi i tessuti di seta e quelli ricavati tessendo le fibre delle ginestre. In alcuni libri antichi viene decantata la particolare bellezza delle donne di Marcellinara.
Il toponimo, che in documenti del Cinquecento compare nella forma “Marcinari”, non ha un’etimologia certa: riportato da alcuni studiosi a un “mercenaria”, (da “merce”), inteso nel senso di ‘luogo in cui si svolge un mercato”, viene da altri fatto derivare dal termine calabrese “marcidara o marcillara”, avente il significato di ‘arboscello di mirto’, o dal nome di persona Marcellino.
“A mari, a mari, a Marcinari”, oppure “O a mari o a Marcinari”: con tale detto, conosciuto ed usato in tutta la Calabria, si indicava la scelta obbligata fra due sole alternative. Questo conferma che anticamente era a tutti nota la posizione geografica di Marcellinara e le sue fiere, antichissime, molto conosciute, in passato erano attrattive per tutti i cittadini, ma, in particolare, per contadini, allevatori e commercianti della zona. Sul Nuovo Dizionario Geografico Universale Statistico-Storico-Commerciale del 1826 viene menzionata la prima fiera di Marcellinara”…vi si tiene una fiera di due giorni, la terza domenica di settembre”.
Una tradizione vuole che Marcellinara sia stata fondata durante la guerra dei vespri siciliani; un’altra vuole che, distrutta Omelea, antico nome del paese, i superstiti costruirono l’abitato chiamandolo “Marcellus in ara”, ossia Marcello sacrificato sull’altare, donde Marcellinara in onore e ricordo di un vescovo Marcello martirizzato durante le invasioni dei Saraceni. Probabilmente ci si riferisce a una delle tante incursioni saracene sulle coste calabresi, e in particolare a quella avvenuta nei primi anni del secondo millennio, allorquando gli invasori, salpati presso il Golfo di S. Eufemia, fecero razzia di una città posta in quel punto (l’odierna Nicastro, inglobata nell’attuale Lamezia Terme), e da lì presero a perseguitare la popolazione, che fuggì con il suo vescovo nella direzione opposta. Quindi Marcellinara sarebbe stato il luogo dell’uccisione del vescovo Marcello oppure quello in cui i suoi fedeli trovarono stabile rifugio dopo che questi era stato già martirizzato.
Infine un’altra tradizione vuole che Marcellinara sia sorta sulle rovine di un’antichissima città bruzia edificata dai Greci. Certo è che Marcellinara era un piccolo casale che nel periodo angioino-aragonese faceva parte del complesso feudale dei Ruffo di Calabria, conti di Catanzaro. Poi nel 1445 Alfonso I d’Aragona la elevò a feudo, concedendola a Niccolò Sanseverino. Da questo punto fino ai primi del ‘900 e oltre la storia di Marcellinara si lega indissolubilmente a quella della famiglia Sanseverino. Lo stemma civico, d’azzurro con il cuore infiammato, d’oro, trafitto in basso a destra da tre frecce, riprende un vecchio timbro in uso durante quel periodo.
Secondo la tradizione San Francesco di Paola avrebbe alloggiato nel Palazzo dei Baroni Sanseverino al tempo del suo viaggio in Sicilia e durante il suo soggiorno avrebbe predetto che il ramo dei Sanseverino di Marcellinara sarebbe stato l’unico della casata a sopravvivere nei secoli. Ad accreditare la sosta di S. Francesco a Marcellinara potrebbe essere un suo ritratto, che gli stessi Sanseverino gli avrebbero fatto allora eseguire, probabilmente da un pittore locale, per conservare un ricordo del suo passaggio. Il ritratto, che presenta il Santo sulla cinquantina, è ora custodito nel Palazzo baronale sito nella piazza principale intitolata al sacerdote-scienziato Francesco Scerbo.
Il centro storico originario, che secondo i documenti dell’epoca doveva contare numerose chiese, fu distrutto dal terribile terremoto che nel 1783 sconvolse tutta la Calabria. Nel centro storico, nella piazza principale, vi è la chiesa di Maria SS. Assunta (sec. XV). La navata centrale fu affrescata nel XIX secolo dal pittore Francesco Colelli. Sul portale bronzeo d’ingresso, opera moderna, sono raffigurate alcune scene della storia del paese. Il portale di bronzo, gioiello d’arte sacra alto 3 metri, è opera dello scultore Giuseppe Farina, ed è composto da sei bassorilievi che raffigurano: il martirio del Vescovo Marcello, la visita di San Francesco di Paola, le scene del lavoro faticoso dei campi, i ramoscelli di ulivo e i colombi segni di libertà e di pace, la venuta in Calabria di Giovanni Paolo II, le fabbriche, segni dell’evoluzione sociale del contadino calabrese. Sempre nella piazza principale si trova l’imponente palazzo dei Baroni Sanseverino. Costruito nella seconda metà del 1400, fu parzialmente distrutto dal terremoto del 1783, in seguito al quale fu ricostruito secondo quel gusto neoclassico allora in voga. I saloni del quattrocentesco castello feudale sono adibiti a sale per congressi.
All’interno del centro storico vi è la piccola ma curata chiesa di San Nicola (sec. XVII), un’opera di notevole interesse che fa parte del patrimonio storico-artistico, così come sancito dalla Sovrintendenza dei Beni Culturali; è sede dell’Arciconfraternita dell’Immacolata, tra le più antiche del circondario, ed al suo interno è custodita una statua dell’Immacolata di particolare valore religioso e artistico. L’anno di costruzione della Chiesa è incerto anche se la grande campana della Chiesa – la torre campanaria è famosa per aver ispirato l’antropologo Ernesto de Martino che coniò appunto il concetto antropologico del “Campanile di Marcellinara” - reca un’incisione in latino che riporta la data del 1605, quindi, molto probabilmente, la Chiesa era già preesistente a quella data.
L'Arciconfraternita, riconosciuta con Decreto Regio di Ferdinando IV datato 1776, custodisce la Reliquia del Sacro Capello della Vergine, donata dai fedeli messinesi, e custodita nella Chiesa di San Nicola. La tradizione popolare narra che nel lontano 42 dopo Cristo alcuni abitanti di Messina si misero in viaggio per raggiungere Gerusalemme e venerare la Madonna ancora vivente. La Vergine donò ai messinesi una lettera ed una ciocca di capelli. Il culto della Madonna della Lettera, rapidamente, da Messina si diffuse in piccoli e grandi centri. A Palmi, terra della Varia, oggi patrimonio dell’umanità dell’Unesco, fin dal lontano 1500, la Madonna della Lettera è stata venerata e festeggiata. Tutto ciò fa pensare che il culto, gradualmente, sia arrivato fino al territorio marcellinarese, grazie al dono fatto dai fedeli messinesi. Il 3 maggio 1754 la Real Camera di Santa Chiara di Napoli eleggeva Maria Immacolata quale Patrona e Protettrice della “Università e Terra di Marcellinara”. Marcellinara per la sua importanza potè fregiarsi del titolo di Università, l’attuale “Città”, godendo dei privilegi derivanti dalla propria autonomia di governo.